Arte e dintorni: Lorenzo Marone “Magari domani resto”

Ho letto Magari domani resto di Lorenzo Marone in due giorni e mezzo, trecentoquattordici pagine in meno di settantadue ore.

Ho iniziato a leggerlo perché un mio amico mi aveva detto che in questo libro c’erano molte Rita Fusco – me medesima – e, siccome sono uno strano animale egocentrico in un mondo di egocentrici e siccome ero troppo curiosa di capire cosa avesse spinto il mio amico a pensare tale cosa, ho iniziato subito, sperando di non rimanere delusa.

Alla seconda pagina ho messo da parte le Rita Fusco – anche se, dopo aver appreso che la protagonista si chiamava Luce Di Notte, essendomi ricordata la vecchia storia che mi raccontava mia madre, vera o inventata che fosse, la quale sosteneva che mi sarei dovuta chiamare Fosca Fusco, ho esclamato “Iniziamo bene!” (e questo il mio amico non poteva saperlo) – e mi sono subito lasciata trascinare da una scrittura chiara e accattivante.

Luce Di Notte è una ragazza cazzuta. Una che ami e odi a primo colpo: la ami perché tiene le palle e la odi perché è pesante, perché ogni tanto potrebbe essere meno severa nei confronti del mondo.

Vive in una Napoli non da cartolina, raccontata così bene, che pure uno che non l’ha mai vista riesce ad immaginarsela. Tutto è raccontato nei minimi dettagli che, però, non appaiono mai pedanti o superflui.

Una Napoli che, ad una provinciale come me, risulta lontana, ma nello stesso tempo familiare.

Bene – dicevamo – che Luce è una donna cazzuta, con la risposta sempre pronta, calzante e graffiante e, dunque, mi sono chiesta cosa c’avesse visto questo mio amico; io che riesco ad essere calzante e graffiante raramente, il più delle volte, detestandomi, perché mi nascondo.

Eppure, non sono riuscita, in questi due giorni, a comporre il suo numero per dirgli: “Hai toppato, amico mio!”; per poi continuare a leggere in maniera distaccata.

Questa dannata Luce con il suo mondo, in effetti, aveva qualcosa di familiare.

Luce è cresciuta con una morale ben salda, nonostante abbia avuto una famiglia non convenzionale –  con una mamma e una nonna, molto diverse e distanti tra loro, dopo l’abbandono (con relativa morte) del padre – ha fatto a cazzotti col mondo per cercare un posto suo che non la facesse sentire a disagio ore, minuti e quarti d’ora. E’ una che si alza la mattina e sa che tutto può succedere, ma ha paura lo stesso, perché le ossa di fronte a certe cose non te le fai mai.

Sbraita Luce, perché non accetta certe dinamiche della sua città ma, nello stesso tempo, non riesce a distaccarsi dai vicoli che l’hanno vista crescere, perché quando perdi qualcosa in un luogo, ti radichi di più in quel luogo.

Una che proprio non ce la fa a farsi scivolare le cose di dosso, anche quando si nasconde nel più becero cinismo. Una che vorrebbe andare via ma non sa fino a che punto; che ha paura di essere abbandonata ma ci prova sempre.

Ha visto e vissuto cose che l’hanno segnata ma che non diresti mai. La sua storia è avvincente perché è ricca di colpi di scena, flashback che ritornano nel presente in maniera delicata e diretta. La costante, pure nell’ultima pagina, è la voglia di continuare a leggere e a vivere.

Insomma, a pagina centocinquantatre mi stavo ancora chiedendo cosa avesse da spartire con me questa Luce Di Notte e con lei, sua nonna, suo fratello, la mamma, il signor Vittorio, il cane Alleria, lo studio legale, Carmen Bonavita ed il Piccolo Kevin. Eppure tra una pagina ed un’altra ho tenuto perennemente un nodo in gola, un pianto che voleva sciogliersi, ma che non riusciva a ribellarsi alle mie mascelle contrite.

Lorenzo Marone parlava di me senza intenzionalità. Forse la storia di Luce non è molto lontana da noi. Forse non ci sono le Rita Fusco in questo romanzo, ma l’umanità che si sta perdendo.

Forse.

Mi sono aperta una birra – quasi ad emulare la nostra protagonista – così da non avere filtri. Perché i filtri, alla fine, non servono a molto, ti complicano solo la vita. E Luce lo sa, lo ha capito, e ti urla le cose in faccia.

Ti urla la sua bellezza di donna inconsapevole, ti racconta il suo dolore senza fartelo pesare, si prodiga verso gli altri perché non può fare altrimenti.

Attorno a sé ha una Napoli un po’ ruccelliana, un po’ quella raccontata dai libri che tanto vanno di moda adesso, ma tutto ti sembra universale. Tutto è leggero, pure la corruzione.

Marone ti tiene attaccata alle pagine. E non lo dico perché sono nullafacente in questi giorni di festa ma perché realmente le sue parole scorrono veloci, come i fiumi in piena che non ti stanchi di fissare.

E un po’ ti incazzi pure, sul finire, perché ti ritrovi una sottospecie di famiglia Mulino Bianco, formatosi per puro caso, senza troppi legami di sangue, che è pronta a risolvere la propria vita al meglio. A perdonarsi, a riscattarsi, a ritrovarsi. Vorresti dirgli che ti aspettavi qualche brutta fine, una parolaccia di troppo e, invece, ci sta pure una rondine, adottata per caso, che deve spiccare il volo, con tanto di frase effetto durante il momento clou “Le grandi azioni non necessitano di coraggio, ma di puro istinto”, dopo aver vissuto in maniera inverosimile in una casa, tra la capa di un vecchio e il muso di un cane, roba da cartoni animati anni ottanta.

E non ti incazzi perché è tutto molto bello e vero. Perché ti rendi conto che Marone ti ha detto quello che pensi anche tu e forse, con te, parte dell’umanità, solo che è troppo presa dal pregiudizio di turno. Perché uno scrittore che parla di Napoli e di una ragazza di trent’anni, di questi tempi, deve parlarti in maniera cinica e spietata, deve raccontarti che la vita è una munnezza da quando ti hanno detto che Babbo Natale non esiste o da quando hai perso una persona senza aver avuto manco il tempo di salutarla; che l’amore non esiste perchè è roba da favolette dei fratelli Grimm, il resto è solo sesso e qualche sensazione bella.

E invece no. Marone, Luce, io, riteniamo che, nonostante tutto, questa vita tanto schifo non fa, che i sogni non dovremmo ammazzarli mai, che bisogna essere onesti perché tanto non possiamo nasconderci, che l’amore esiste sì, basta solo capirlo. La persona che ti fa sentire a casa ovunque, ti fa ridere e ti fa dimenticare la paura della morte.

Che pure se la perfezione non esiste – e viva Dio! – esiste la vita. E con essa noi. Io e Luce siamo due sognatrici e siamo fiere di esserlo, perché non ci stanchiamo mai di sorprenderci. E anche se questa frase farebbe schifo a lei e a me compresa, è così.

Sogniamo diversamente. Entrambe, seppur spesso incazzate, siamo felici quando ci brillano gli occhi.

Ho odiato Lorenzo Marone sul finale, perché mi sembrava scontato, troppo da favoletta della buonanotte, troppo da “e vissero tutti felici e contenti” – anche se tengo per me il colpo di scena finale, inaspettato, che ha sciolto definitivamente il mio nodo in gola – ma l’ho odiato, soprattutto, perché mi ha ricordato che io, nelle persone, nei sentimenti, nelle famiglie improvvisate, nei lieto fine,

ci credo.

                                                                            Rita Alessandra Fusco

2 pensieri su “Arte e dintorni: Lorenzo Marone “Magari domani resto”

  1. Lorenzo Marone aveva ragione, questa recensione è bellissima. è fantastica e tremendamente romantica anche la storia del tuo amico che riesce a vederti in un personaggio letterario.

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